Perché non riusciamo a smettere di seguire gli influencer che ci irritano? La psicologia dietro questa strana dipendenza
Ti sei mai chiesto perché, nonostante la frustrazione e l’irritazione, continui a seguire sui social quegli influencer che in realtà non sopporti? Non sei solo: questo comportamento apparentemente contraddittorio ha radici profonde nella nostra psiche. Scopriamo insieme i meccanismi che si celano dietro questa curiosa tendenza.
Il paradosso dell’engagement negativo: quando l’odio diventa seguito
Uno studio pubblicato su Science da Jonah Berger e Katherine Milkman ha mostrato che i contenuti che suscitano emozioni intense, incluse quelle negative come rabbia o indignazione, hanno una maggiore probabilità di essere condivisi rispetto ai contenuti emotivamente neutri. Questo fenomeno, noto come “engagement negativo”, spiega perché restiamo incollati a contenuti che ci provocano fastidio o disapprovazione.
La teoria del confronto sociale: un bisogno primordiale
Secondo la teoria del confronto sociale proposta da Leon Festinger nel 1954, confrontarsi con gli altri è un meccanismo fondamentale attraverso cui le persone definiscono la propria identità e rafforzano la propria autostima. Ecco come:
- Ci permette di definire la nostra identità per contrasto.
- Rafforza la nostra autostima attraverso il giudizio negativo.
- Alimenta il senso di appartenenza a una “tribù” di critici.
La dopamina del dramma: perché il cervello ne vuole ancora
Secondo Robert Sapolsky, situazioni imprevedibili e cariche di tensione attivano il circuito della ricompensa nel cervello, coinvolgendo il rilascio di dopamina, lo stesso neurotrasmettitore associato alle dipendenze. Questo meccanismo può spiegare la tendenza a tornare ripetutamente su contenuti sociali “drammatici”.
I 5 meccanismi psicologici che ci tengono incollati
- Effetto spettatore: il piacere di osservare dinamiche sociali complesse da una posizione sicura.
- Dissonanza cognitiva: il bisogno di giustificare il tempo speso seguendo questi contenuti.
- FOMO (Fear Of Missing Out): la paura di perdere aggiornamenti sul “dramma”.
- Bias di conferma: la ricerca di contenuti che confermino le nostre opinioni negative.
- Catarsi emotiva: lo sfogo delle frustrazioni attraverso il giudizio altrui.
L’economia dell’attenzione: quando l’irritazione diventa business
Il Professor Jonah Berger della Wharton School ha dimostrato che i contenuti che generano emozioni intense – comprese quelle negative, come rabbia o indignazione – hanno una probabilità significativamente più alta di essere condivisi rispetto ai contenuti neutri.
Come spezzare il ciclo: strategie pratiche
La psicologa Patricia Wallace suggerisce strategie come limitare consapevolmente il tempo passato online e sostituire i contenuti tossici con alternative più costruttive. Ecco alcune raccomandazioni per gestire meglio l’uso problematico dei social media:
- Praticare la “dieta digitale”: limitare il tempo di esposizione a contenuti negativi.
- Implementare la regola dei 30 secondi: chiedersi se un contenuto ci arricchisce davvero.
- Sostituire gradualmente i feed tossici con alternative costruttive.
- Riconoscere i trigger emotivi che ci spingono al consumo compulsivo.
Il lato nascosto del fenomeno: impatto sulla salute mentale
Studi internazionali hanno evidenziato che l’esposizione prolungata a contenuti negativi sui social può aumentare i livelli di stress e ansia tra gli utenti.
Verso un uso più consapevole dei social
La consapevolezza è il primo passo verso il cambiamento. Comprendere i meccanismi psicologici che ci tengono legati a contenuti che ci irritano può aiutarci a sviluppare un rapporto più sano con i social media. Non si tratta di eliminare completamente questi contenuti dalla nostra dieta digitale, ma di riconoscere quando il consumo diventa compulsivo e poco costruttivo.
La prossima volta che ti sorprendi a scrollare ossessivamente il feed di un influencer che ti irrita, fermati un momento. Chiediti cosa stai cercando davvero in quel contenuto e se esiste un modo più costruttivo per soddisfare quel bisogno. La risposta potrebbe sorprenderti.
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